Dalle preoccupazioni alle possibilità

Perché serve un counsellor in azienda

In una New York rumorosa, improvvisamente il traffico viene fermato da Ryan, un uomo elegante, seguito da un folto gruppo di persone. Tutti si ritrovano in mezzo alla strada tra i clacson di decine e decine di auto che protestano per farli togliere da lì. 

Ryan chiede a loro di concentrarsi su ciò che vedono attorno a sé. Le persone sono agitate attorniate dal tanto rumore. I loro occhi si muovono veloci, dicono di notare i clacson, le auto, rumore, martelli pneumatici e diti medi alzati. 

Ryan a questo punto chiede loro di seguirlo. Li porta sul tetto dell’edificio da cui erano usciti e una volta in cima rivolge loro la stessa domanda: ”Cosa vedete adesso?”. Le persone si guardano intorno e iniziano a notare il cielo, più silenzio, una donna in una vasca, il mare in lontananza. Tutti sono più tranquilli e respirano. “E’ tutto diverso, eppure… è lo stesso posto” dice loro Ryan. 

Questa scena, presa dal film Qualcosa di speciale di Brandon Camp, è un’ottima allegoria di ciò che avviene nel counselling. 

Di solito noi counsellor entriamo in gioco nelle situazioni di tumulto, quando pensieri e relazioni sono un traffico rumoroso. Le persone e i gruppi di lavoro in situazioni di crisi stanno male e funzionano peggio. Proprio come Ryan, noi chiediamo loro cosa vedono, cosa stanno vivendo, quali sono le esperienze che occupano i loro pensieri. 

Li ascoltiamo e risalendo le scale di avvenimenti, emozioni e percezioni, arriviamo ad altri punti di osservazione, dove possiamo vedere oltre. Preoccupazioni, colpe, ansia iniziano a fare meno rumore, così le persone riescono a scorgere ciò che prima era impossibile notare: meccanismi, automatismi, il proprio modo di funzionare e, un po’ più in là, il mare delle possibilità.

Incastri umani

Quelli appena descritti sono gli incastri in cui tutti noi finiamo e con cui le vicende della vita ci spingono a fare i conti. Sia nella nostra dimensione individuale, che in quella di gruppo, crescendo abbiamo bisogno di maggiore sicurezza e fiducia nelle nostre capacità, così costruiamo un’impalcatura di credenze, atteggiamenti, valori, regole e comportamenti che con il tempo rischiano di trasformarsi in una gabbia*. Perché se è vero che queste impalcature possono sostenerci per un po’, è anche dimostrato da molte ricerche come sia la capacità di restare flessibili e fluidi il vero segreto per una vita più felice. 

Proprio come un palombaro, abbiamo bisogno di aiuto per toglierci di dosso le ingombranti dotazioni che ci sono servite per un po’, ma che ora, in contesti diversi, sono di impaccio. Il counselling può essere questo aiuto.

Il counselling ha una lunga tradizione di attività all’interno delle organizzazioni perché pragmatico, non induttivo e non diagnostico. 

La forma più semplice con cui le imprese si avvicinano al counselling è quella degli “sportelli” in cui i collaboratori, in totale riservatezza e autonomia di obiettivi, possono trovare ascolto e aiuto per i propri problemi personali e professionali. Il risultato è la riduzione dello stress e un ritrovato senso di efficacia. 

Un’altra richiesta tipica è quella di supporto a manager freschi di ruolo o che si trovano ad affrontare situazioni lavorative particolarmente sfidanti: lo scopo è di rendere il manager più pronto e più efficace nella gestione dei gruppi.

Le equipe di lavoro possono essere seguite dal counsellor tramite supervisioni o formazioni mirate, per gestire o prevenire crisi situazionali. Lo scopo è quello di appianare i conflitti, co-costruire obiettivi comuni, base del funzionamento efficace dei gruppi, e di intervenire sulle rappresentazioni e le modalità comunicative che rendono fluida la collaborazione tra i membri del team. 

A livello più strategico, le richieste più urgenti sono legate alla conciliabilità vita-lavoro, tema in cui entrano politiche, percezioni e vissuti che creano molti attriti a più livelli e su il Counselling può intervenire tempestivamente.

Autrice : Chiara Ciceri, CoSì, Counsellor Svizzera italiana

Fonti

Bargh, J. A., & Chartrand, T. L. (1999). The unbearable automaticity of being. American Psychologist, 54(7), 462–479. Journal ArticleDatabase: APA PsycArticles https://doi.org/10.1037/0003-066X.54.7.462

2022 American Psychological Association ISSN: 0021-9010, Getting Unstuck: The Effects of Growth Mindsets About the Self and Job on Happiness at Work, Justin M. Berg, Amy Wrzesniewski, Adam M. Grant, Jennifer Kurkoski, and Brian Welle

The Lancet, SeriesWork and HealthVolume 402, Issue 10410p1368-1381October 14, 2023. Work-related causes of mental health conditions and interventions for their improvement in workplaces. Prof Reiner Rugulies, PhDa,b rer@nfa.dk ∙ Birgit Aust, PhDa ∙ Birgit A Greiner, PhDc ∙ Prof Ella Arensman, PhDc,d,e ∙ Prof Norito Kawakami, PhDf,g ∙ Prof Anthony D LaMontagne, ScDh,†∙ et al.

Sherif, M. (1956), Experiments in group conflict. Scientific American, 195. University of Oklahoma.

Indietro
Indietro

La resilienza, uno strumento essenziale

Avanti
Avanti

Il dilemma dello smart working: tra flessibilità, produttività e identità aziendale