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LE PREVENZIONI DELLE MALATTIE NELL’AMBITO DELLA SALUTE AZIENDALE

L’intervista alla dottoressa Mirjam Rodella Sapia, che affianca la professione di medico  internista all’attività formativa nei due settori del lifestyle medicine e della salute pubblica. 

La dottoressa Mirjam Rodella Sapia è Medico internista e titolare del centro di Medicina di famiglia e Salute pubblica ad Avegno, in Valle Maggia: oltre alla sua professione, si occupa anche di  formazione in due ambiti ancora poco esplorati, ovvero quello della Lifestyle medicine e della salute  pubblica. A lei ci siamo rivolti per conoscere le caratteristiche di queste nuove frontiere della prevenzione medica in riferimento alla salute aziendale. 

Dottoressa Rodella Sapia, ci spiega che cosa  si intende con questi due termini? «La salute pubblica si occupa dei determinanti della salute che influiscono sulla nostra salute sia a livello individuale, sia a livello della popolazione: fattori biologici, stile  di vita del singolo individuo, ma anche fattori ambientali, socio-economici e politici. Durante il mio  percorso formativo mi sono accorta che il ruolo  del medico consiste principalmente nel prescrive  dei medicamenti per curare delle malattie. Spesso,  però, lo sviluppo delle malattie non trasmissibili  più frequenti, quali le malattie cardiovascolari, oncologiche, respiratorie, il diabete e le demenze, può  essere arginato con uno stile di vita sano. La specializzazione in Lifestyle medicine nasce quindi  dal bisogno di motivare e accompagnare i pazienti  in un percorso di cambiamento dello stile di vita  per prevenire o fermare la progressione di  una malattia cronica».  

Quindi, la differenza tra l’approccio "classico" della medicina e quello “Lifestyle” consiste nella prevenzione primaria?

«La medicina “classica” si focalizza da decenni  sulla cura delle malattie e quindi sulla prevenzione secondaria e terziaria (si cura cioè il paziente che presenta una malattia o una complicazione  della malattia), mentre la Lifestyle Medicine si  prefigge di prevenire queste malattie. Secondo l’European Lifestyle Medicine Organization, la  Lifestyle medicine è «una medicina basata sull'evidenza, che lavora sul cambiamento comprensivo  dello stile di vita, con l’obiettivo di prevenire, trattare o invertire la progressione di malattie croniche, affrontando le cause sottostanti». Si lavora su  diversi pilastri: attività fisica, alimentazione sana,  diminuzione e gestione dello stress, sonno salutare,  dipendenze da alcol, tabacco e altro, inserimento  sociale, amore e sessualità. Il fulcro di questi pilastri è l’individuo che vuole adottare uno stile di vita  sano o più sano. Ma per cambiare ci vogliono la motivazione e la definizione degli obiettivi: la Lifestyle  medicine lavora proprio nell’ambito del motivational interviewing, per aiutare e motivare la persona  a raggiungere l'obiettivo prefissato». 

Anche a livello giuridico per diritto alla salute si intende prevalentemente il diritto alle  cure mediche. A questo proposito ritiene  che la politica dovrebbe fare di più per sensibilizzare la popolazione sui danni che uno  stile di vita inadeguato può comportare in termini di malattie non trasmissibili?

«La strategia Sanità 2030 del Consiglio federale  definisce obiettivi pertinenti, quali l'alfabetizzazione sanitaria, l’invecchiamento in salute,  la promozione della salute tramite l'ambiente e nel mondo del lavoro, ecc. La prevenzione  e la promozione della salute vengono quindi sostenute dalla Confederazione; esistono inoltre diversi  progetti a livello cantonale, comunale e associativo.  Purtroppo, le buone intenzioni non arrivano sempre  alla popolazione! Dovremmo quindi spendere molta  più energia e soldi nella promozione della salute, in  particolare in campagne di social marketing, che infiltrano ogni angolo del territorio, e in formazione. I  cittadini dovrebbero sentire il bisogno di uno stile  di vita sano, che dovrebbe diventare naturale per  tutti. Ciò significa lavorare su progetti e su campagne  che comprendano tutte le fasce d’età: neonati, bambini, adolescenti, adulti e anziani». 

È per questo, quindi, che lei tiene corsi  all’interno delle aziende? Ritiene che l'azienda sia il luogo ideale per offrire questo  genere di formazione, che tocca soprattutto  la sfera privata? 

«Lo scorso anno abbiamo collaborato insieme con  Flavia Giorgetti Nasciuti a un progetto finanziato da Innosuisse, che si prefiggeva di analizzare la  possibilità di offrire dei prodotti orientati alla  salute ai collaboratori di aziende. Alla base di  questo percorso erano previste delle serate di sensibilizzazione su malattie non trasmissibili e la possibilità di prevenirle, su alimentazione, gestione dello stress e sonno rigeneratore. È stato molto interessante, perché di norma all’interno delle  aziende la prevenzione della salute è approcciata in termini di sicurezza o di salubrità del posto di lavoro. Lo stile di vita è sempre stato attribuito alla sfera privata, nella quale le imprese non volevano intervenire. Il Covid ha però esacerbato e dato visibilità a una problematica ormai presente da alcuni decenni, ovvero la rottura dei confini tra lavoro e  vita privata. Il lavoro, tramite la tecnologia, infatti, ha invaso la vita privata: si risponde alle telefonate di lavoro durante la cena; si lavora col computer sulle ginocchia nel proprio letto… Questo evidentemente ha un impatto importante sulla quantità e la qualità della vita privata e sulle relazioni familiari. Difficilmente si potrà invertire questo trend, ma si  può riequilibrarlo: se la vita professionale ha invaso il tempo e gli spazi della vita privata, le aziende  possono occuparsi della vita privata dei propri collaboratori, offrendo programmi di formazione e prodotti orientati alla salute, nei tempi e nei luoghi di lavoro. Questa offerta, inoltre, rientra nella responsabilità sociale delle imprese,  tema di estrema attualità e in relazione al quale si  possono fare almeno due riflessioni: in primo luogo,  si può rilevare che la pandemia Covid è durata poco meno di tre anni, mentre i cambiamenti negativi dello stile di vita ci accompagneranno ancora per tanti anni e le conseguenze si noteranno con un lungo periodo di latenza; secondariamente, che, oltre al Covid, esiste un’altra pandemia altrettanto importante: la pandemia delle malattie non trasmissibili, che causano l’80% di decessi prematuri, ossia tra i 30 e 69 anni. Eppure, queste malattie sono prevenibili adottando uno stile di vita sano. Si dovrebbe dedicare quindi alla prevenzione di malattie non trasmissibili la stessa attenzione mediatica e politica riservata alla pandemia Covid. Le imprese, attore economico importante, dovrebbero contribuire a questa prevenzione, anche in un’ottica economica, di contenimento dei costi della salute».  

Che cosa si augura lei riguardo alla Lifestyle medicine? 

«Mi piacerebbe che lo stile di vita sano non debba più essere predicato, ma che diventi parte integrante della vita di ogni persona, delle comunità e del sistema socioeconomico. E che tutte le persone, in ogni fase della vita, abbiano accesso a uno stile di vita sano».  

Qual è il suo motto personale? 

«Vivi con stile – stile di vita!».

Articolo, Formazione al Centro, 01/2023, pp. 28-29